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Piccolo manuale della buona scrittura - 8

Una frase fatta o la parola giusta al posto giusto?

20 luglio 2014

  Convenzioni tipografiche. In queste pagine gli esempi sono in corsivo; le espressioni corrette sono in neretto; Le espressioni sbagliate o non consigliabili sono in rosso.

Il self-publisher non è necessariamente un letterato. In molti casi non è un professionista della scrittura, né un lettore di lungo corso. Dunque le fonti del suo linguaggio sono quelle di tutti e vengono per lo più dai giornali e dai notiziari radiotelevisivi. Che in genere non brillano per la qualità della lingua.

Può fare lo  scrittore chi ha la capacità di inventare storie e di creare una struttura narrativa. Soprattutto la prima qualità, la fantasia, è una dote innata, una tecnica che non si può insegnare. Ma, a volte, queste doti non sono sorrette da un’uguale abilità nella scelta e nella combinazione delle parole.

Per esempio: tutte le persone hanno un “volto”. Un volto? Oppure un viso, o una faccia? O addirittura un ceffo?

Una ragazza con un viso dolcissimo.
Un nobile signore dal volto severo.
Un ragazzino impertinente con una faccia da schiaffi.
Un brutto ceffo che sbuca dall’oscurità impugnando un coltello.

Questi esempi mostrano come indicare la stessa cosa con una parola diversa sia importante per arricchire l’immagine che si vuole evocare con la scrittura.

La lingua italiana è ricca di espressioni che esprimono concetti simili, ma con sfumature diverse. Prendiamo dal linguaggio giornalistico un termine molto usato, insensata quanto inutile importazione di una parola inglese: monitorare. Tutti monìtorano tutto, dal comportamento di un campione statistico al livello di un fiume in piena, dai flussi del traffico automobilistico ai livelli dell’inquinamento atmosferico.
Ma in italiano c’è una quantità di espressioni che possono essere più efficaci dell’orribile “monitorare”:

Controllare, tenere sotto controllo.
Sorvegliare, esercitare un’attenta sorveglianza.
Osservare con attenzione.
Verificare, sottoporre a verifica.
Vigilare.

Questo è solo un piccolo esempio, incompleto. Ciascuna delle espressioni che ho appena elencato offre una sfumatura diversa di un’azione che qualcuno descriverebbe come “monitorare”. Usare di volta in volta l’espressione più corretta arricchisce la scrittura.

Ancora: si usa spesso la parola “detriti” per indicare cioè che resta del crollo di un edificio, di un incidente automobilistico o di un disastro aereo, di una lavorazione industriale. Invece:

Le macerie di un edificio crollato.
I rottami di un aereo precipitato.
Le scorie della lavorazione dell’acciaio.

L’altra faccia della scelta della parole più efficaci è nelle frasi fatte, negli aggettivi scontati. Mettiamo al bando il paesino ridente, il paesaggio ameno, la vicenda sconcertante, la violenza inaudita. Soprattutto evitiamo di inquadrare i fatti nella splendida cornice.

Purtroppo sono espressioni che ci martellano tutti i giorni ed è naturale, anche per pigrizia usarle anche in una narrazione che vuole essere un libro, un’opera di fantasia. Ma un linguaggio non banale è uno dei primi segni della presenza di un “autore” dietro le pagine.

Un piccolo esercizio che si può fare per arricchire il proprio vocabolario è leggere ogni giorno qualche pagina di un dizionario dei sinonimi e dei contrari. È anche divertente, provare per credere.
Acc… Mi è scappata una frase fatta!
 

Le parole di ieri. La lingua di tutti i giorni è fatta di un numero limitato di parole. Sempre le stesse. Nella scrittura narrativa può essere molto efficace far rivivere parole cadute in disuso. Un esempio dalla prima pagina de Il contesto di Leonardo Sciascia: "ore non programmate, di solitaria e svagata deambulazione". Quando due aggettivi e un nome in disuso bastano a descrivere un mondo interiore.
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