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IL COLONNELLO REY, SUPPONGO

La prima storia

La sparizione di un giornalista politico, forse in possesso di documenti molto imbarazzanti. L'attacco informatico degli Anonymous per boicottare un summit internazionale. Il passato ambiguo del nuovo presidente della Repubblica. Una "talpa" sul Colle più alto di Roma.
Sono gli ingredienti di una storia di hacker che si insinuano tra i palazzi del potere, le redazioni dei giornali e i covi dei servizi segreti.
Indagini difficili per il tenente colonnello Carlo Alberto Rey, un rigido carabiniere piemontese "uso a obbedir tacendo", agente del controspionaggio che usa il computer invece della pistola. La sua squadra di informatici segue le tracce nascoste nella Rete.
Ma alla fine è l'intuito di Rey che individua quella giusta e lo porta a raggiungere il suo obiettivo, attraversando un pezzo d'Italia su una vecchia motocicletta Harley-Davidson.
 

Un bel libro moderno di altri tempi (Andrea Monti)

Il colonnello Rey è un bel libro moderno di altri tempi. Rigoroso nella descrizione del contesto, preciso fino alla pedanteria (che però non dispiace) nell'uso della lingua italiana, credibile nella descrizione dei personaggi e della trama. La narrazione è, a differenza dei soliti libercoli su templari tecnologici, librerie misteriose, paccottiglia proto-new age, quasi algida e, proprio per questo, coinvolgente. L'autore - che qui rivela il suo notevole retroterra di giornalista - non scrive per "emozionare" (anche scioccando, magari) ma per raccontare (informare?). E come in ogni buon racconto, lo scrittore scompare dietro i fatti che, alla fine, parlano da soli. In poche parole, Il colonnello Rey è una spy story nella forma del reportage. Ed è proprio questa forma narrativa a destabilizzare il lettore: alla fine del libro rimane il forte dubbio se le vicende che racconta siano di pura fantasia o se, al contrario, dicano nella forma del racconto quello che un'inchiesta giornalistica non può rendere pubblico.

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