19 e 20 ottobre 2013: il primo festival
italiano dell'autopubblicazione è già storia. Si è
tenuto in un luogo suggestivo, il Foro
Annonario di Senigallia, che in qualche modo dava l'idea fisica
di un mondo che
chiamiamo "virtuale". Quello dei libri
elettronici. Davanti, una piazza circolare nata come
mercato, con tanto di bancarelle e imbonitori su un palco.
Dietro, nel grande spazio di una storica pescheria, l'esibizione
a ruota degli autoeditori in cerca di visibilità:
protagonisti dietro le quinte (che ossimoro!) del
palcoscenico del self-publishing. Il self-publishing è una delle tante
"rivoluzioni" del nostro tempo tecnologico. Uno
di quei fenomeni che esplodono da un momento all'altro
(avete presente Facebook, Twitter e simili?), ma non si fa
in tempo a inquadrarli perché dopo un attimo sono già cambiati.
Uno che ha capito il self-publishing prima degli altri è il vulcanico
Antonio Tombolini, patron di Simplicissimus Book Farm e dei siti collegati: Ultima
Books, la libreria on line; Stealth, la piattaforma per gli editori;
Bookmaker per il print on demand e via elencando. Nonché dello
spazio per il self-publishing, chiamato con sottile perfidia Narcissus.me.
Tombolini e la sua banda di matti hanno organizzato il festival di Senigallia,
che ha dato del self-publishing l'immagine più nitida che oggi si possa
vedere.
Davanti, come ho scritto all'inizio, c'era la realtà culturale e
commerciale di questo fenomeno. Dietro si agitava il variegato mondo degli
autori autopubblicanti. I grandi scrittori incompresi (tranne che da parenti e
amici), quelli che scrivono per dimostrare a se stessi che sono Autori o che
hanno idee geniali, quelli che scrivono perché forse hanno qualcosa da dire,
ma spesso non sanno scrivere. E anche qualcuno che avrebbe le idee e la
capacità di tradurle in parole, ma non sa trovare un editore.
Il self-publishing è tutto questo. E' figlio legittimo della Vanity
Press del tempo della carta, quella degli APS, gli Autori a Proprie Spese
del Pendolo di Foucault di Umberto Eco.
Ma è anche di più. Perché il ciclo vitale del libro di un APS è breve:
inizia con l'omaggio del volume ad amici e parenti e finisce con il malinconico
riacquisto delle copie che hanno inutilmente occupato per qualche mese gli
scaffali di poche librerie.
Invece il ciclo dell'ebook non ha limiti né di tempo né di spazio. Né,
soprattutto, di pubblico.
Non voglio ripetere quello che ho scritto un anno fa in Dall'Autore a Proprie Spese all'Editore a Zero
Spese. Ma è evidente che il primo effetto dell'autoedizione
a zero spese è un'infinita poltiglia di parole, un fiume gonfio e torbido di
pagine elettroniche. Sul cui fondo, però, si possono trovare anche pepite
d'oro.
Ma chi si arma della pala e del setaccio per andarle a cercare? Lo scouting
nella foresta vergine delle autopubblicazioni digitali appare molto difficile.
Un punto deve essere chiaro: la Rete come
talent scout può prendere grossi abbagli. Può
decretare il successo di paccottiglia pseudo-letteraria, come le più o meno cinquanta sfumature di
erotismo per casalinghe insoddisfatte, mentre un
nuovo Gattopardo può rimanere ignorato sugli scaffali
telematici.
Magari perché il suo autore-editore non ha saputo fare la
copertina giusta, o non è riuscito a promuoverlo sui social
network.
Il futuro dell'editoria non può essere in un'incongruente bancarella come
quelle che abbiamo visto a Senigallia. Bancarelle sulle quali non si può esporre
una merce, perché il libro elettronico e la sua filiera sono
immateriali. Né può essere nei percorsi editoriali
consolidati,
troppo lenti per il ventunesimo secolo. Un grande editore
può impiegare anche un anno per pubblicare un libro. Un
autoeditore vede la sua opera in vendita poche ore dopo
averla finita.
Qualche editore tradizionale ha accettato la sfida e ha aperto una porta al
self-publishing. Penguin Books è stato il primo, accolto da sopracciglia
aggrottate in segno di disapprovazione.
Mondadori ha annunciato da un paio d'anni una sua
piattaforma e l'ha affidata a un editor coi fiocchi:
quell'Edoardo Brugnatelli che ha scoperto Roberto Saviano
e ha inventato la collana Strade Blu, ovvero "la
scrittura come un'avventura che vi porterà lontani dalle autostrade
dell'ovvio".
A Senigallia l'intervento di Brugnatelli era forse il più atteso. Ed è
stato il più applaudito (a parte la pirotecnica esibizione di Alessandro
Bergonzoni). Provocato con intelligenza da Ciccio Rigoli, il "bravo
presentatore" della casa, Brugnatelli ha descritto senza tante perifrasi
il difficile rapporto che c'è oggi tra editoria tradizionale e
self-publishing. E ha spiegato a un pubblico forse ancora un po' illuso che
cosa significa la pubblicazione di un libro da parte di un editore vero.
Di nuovo ci ha assicurato che il decollo della piattaforma Mondadori per il
self-publishing è questione di settimane. Lo ripete da un paio d'anni, se non
sbaglio, e dunque accettiamo la promessa con beneficio di inventario.
Una cosa Brugnatelli non l'ha spiegata (o forse io non l'ho capita): come si
possono applicare i criteri di selezione che sono il fondamento del lavoro di
editore a un fenomeno naturalmente "orizzontale" come il
self-publishing.
Invece è stato molto chiaro quando ha illustrato le qualità che deve avere
uno scrittore per essere scelto da un editore. Tra le quali, Brugnatelli non ha
dubbi, è essenziale il culo.
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