La notizia è di ieri: Mondadori ha inaugurato il suo sito
dedicato al self-publishing: scrivo.me.
Qualcuno si strapperà i capelli all'idea di un grande
editore che scende a patti col nemico. Invece è un segno
importante del cambiamento dei tempi. In pochi decenni le
tecnologie hanno determinato una rivoluzione nel campo
della comunicazione e dell'informazione. Servizi postali,
giornali, televisioni, telefoni hanno fatto i conti, o li
stanno facendo, con i sistemi elettronici. Tutto ciò che fino a ieri era soltanto carta, oggi è
fatto anche o solo di bit. Il libro arriva per
ultimo. L'evoluzione è incominciata quarant'anni fa con
il progressivo abbandono del piombo nella stampa e con
l'introduzione dei sistemi editoriali elettronici. Da
qualche anno la catena produttiva dei giornali e dei libri
è tutta digitale. L'ultimo passo è l'ebook.
La rivoluzione dell'ebook non è solo in un comodo
attrezzo chiamato "ebook reader". E' nelle nuove
modalità di acquisto, conservazione e lettura dei libri.
E' in un diverso percorso dell'opera, che può andare
dall'autore al lettore in tempi brevissimi, e con
intermediari neutrali che non hanno voce in capitolo
sull'esistenza stessa del libro. Una "filiera"
del tutto diversa da quella dell'editoria tradizionale.
In due parole: "self publishing". Il
self-publishing è una cosa seria, anche se oggi si
presenta come lo straripare di un grande fiume,
un'inondazione incontrollabile che trascina con sé
materiali di ogni genere.
Tutti coloro che si sentono scrittori possono pubblicare
le loro opere, senza subire i rifiuti silenziosi degli
editori. E siccome sono molti, moltissimi, l'alluvione è
inevitabile.
Però il primo libro autopubblicato assomiglia in molti
casi alla prima seduta dallo psicoterapeuta: il paziente
cerca di spiegare i suoi problemi, racconta se stesso.
Spesso l'autopubblicazione è una catarsi che fa bene
soprattutto al suo autore e forse a quelli che si possono
riconoscere nelle cose che scrive. Ma non è letteratura.
Nella maggior parte dei casi l'opera autopubblicata non è un libro
con prospettive editoriali.
Il libro come prodotto letterario deve avere in
qualche misura un valore universale - la parola va
usata con molta prudenza - alla pari con qualsiasi opera
d'arte, anche di un'arte minore. O di un nobile
artigianato. E deve avere anche una qualità,
che è la somma di diversi requisiti: prima di tutto deve
partire da un'idea non banale. Subito dopo viene l'efficacia della scrittura, che
richiede la
capacità di scegliere le parole e combinarle assecondando
l'idea e rispettando ortografia, grammatica e sintassi (che possono essere
anche diverse da quelle che si imparavano a scuola).
Poi ci sono gli aspetti editoriali: la revisione da
parte di un esperto (editing), l'impaginazione (del
tutto diversa tra il libro di carta e l'ebook), la
copertina e via elencando.
Infine la vendibilità, che è un requisito
importante per l'azienda editoriale (ma non dovrebbe
essere il principale, come purtroppo accade di frequente).
Tutto questo manca spesso nel self-publishing. Che però
è anche un mezzo per consentire a un vero autore di
emergere, superando i filtri degli editori
tradizionali. Filtri ormai obsoleti di fronte
all'avanzata dei nuovi canali, oltre che inadeguati alla
massa delle proposte che arrivano da ogni parte.
Il punto di incontro tra l'editoria che mi piace
chiamare "di ieri" e quella che avanza si può
raggiungere attraverso due strade convergenti. La prima è
allevare nuovi autori, aggiungendo l'indispensabile sapere
tecnico a un talento naturale che si può individuare
attraverso il social. Questo sembra il connotato
saliente anche della nuova iniziativa di Mondadori.
Scrive infatti il direttore Edoardo
Brugnatelli: "Scrivo.me vuole fare proprio
questo: aprire le porte di questo universo sterminato e
affascinante. Rendere possibile a chiunque voglia scrivere
e magari pubblicarsi di capire quali sono gli strumenti,
le tecniche, le regole per rendere ancor più bello e più
ricco il testo sul quale sta lavorando".
La seconda strada per arrivare al punto di incontro fra
il vecchio e il nuovo è meno facile e tutta da inventare:
è individuare nel mare delle autopubblicazioni un self-publishing
di qualità. Una sorta di "certificato di
pubblicabilità", che non abbia come sbocco naturale
un contratto editoriale, ma che aiuti i lettori nella
scelta dei libri da leggere e segnali il self-publisher
come potenziale autore in senso pieno.
Il problema è capire chi possa essere qualificato per
attribuire questo ipotetico "bollino". Non
genericamente la Rete, i social network, perché c'è il
rischio che siano promosse cinquemila sfumature di tutti i
colori e bocciate opere valide, ma non facili da accettare
per un pubblico abituato alla superficialità del web.
E neanche gli editori, perché ritorneremmo al punto di
partenza.
In ogni caso ci troviamo di fronte a una specie di
paradosso: il self-publishing di qualità deve passare per
un filtro che è, di per sé, una parziale negazione
dell'idea stessa del self-publishing. Questo è uno
dei nodi che devono essere sciolti per costruire
l'editoria del terzo millennio.
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